Vita immaginaria
August 18, 2025Sognando Paul Klee
August 18, 2025L’arte ininterrotta di Stefano Spagnoli
Roberto Tassi (1994)
Credo che il senso più vero e più vistoso di ciò che molto impropriamente, ma in modo comprensibile a tutti, chiamiamo la modernità, inizi nel gennaio 1912 quando Picasso, componendo la Nature morte avec la chaise cannée, vi inserisce, anziché dipingerla, un pezzo di tela cerata sulla quale era già riprodotta un’intelaiatura di paglia; e quando Braque nel settembre dello stesso anno compra in un negozio di Avignone un foglio di carta da parati a finto legno, poi nel suo studio di Sorgues incolla tre pezzi di quella carta su un supporto e completa a disegno la composizione creando Compotier et verre. In questa fase iniziale di quella sublime partita a tennis che i due pittori giocarono per alcuni anni, rilanciandosi di continuo la palla della creazione artistica, Picasso inventò il “collage” e Braque “il papier collé”. Da quel momento i due gesti furono ripetuti, arricchiti, complicati, diretti nelle più varie direzioni: nella continua mutazione diedero vita all’“assemblage”; esercitarono grande influenza sulla scultura; attraverso il surrealismo e dada furono canonizzati e teorizzati in poetica.
Divennero il cuore, strano, affascinante, misterioso e inesplicabile, della modernità. Stefano Spagnoli sta in quel cuore; come abbiamo voluto dimostrare con la mostra, che raccoglie una parte, per noi preminente, del suo lavoro entro quella sconosciuta regione. Il titolo “Ars combinatoria” è stato scelto da Spagnoli stesso; e si pensa al saggio di Leibniz ove è teorizzata un’arte che inventa concetti complessi con la combinazione di concetti semplici primari. Il fondamento più o meno è sempre quello; ma dal XVII secolo le cose sono molto cambiate, soprattutto nel nostro secolo [il Novecento], lungo la linea di cui abbiamo appena indicato la traccia; poi ora, oltre che di concetti si tratta di oggetti, cioè di opere d’arte.
Spagnoli mi indica un testo di un autore molto più vicino a noi, Borges, e me ne fa leggere un frammento, intitolato proprio Ars combinatoria, che inizia così: “Le possibilità dell’arte di combinare non sono infinite, ma sogliono essere spaventose”; subito non sono d’accordo, ritengo invece che siano infinite, non vedo in che punto si possa considerare esaurita ogni possibilità. Il lavoro stesso di Spagnoli sembra che non debba mai finire. La sua opera è un grande flusso creativo ininterrotto e senza attese di fine; essa ingloba l’idea e la pratica del mutamento, della modificazione, della variabilità. Ogni cosa, ogni opera viene di continuo mutata; e questa grande corrente lungo la quale tutto si cambia senza sosta e senza meta può ben essere immagine del tempo. Anziché la “poesie ininterrompue” abbiamo l’“art ininterrompu”.
Mettere insieme, combinare, elementi diversi per crearne uno nuovo e ancora diverso, creare collage, assemblage, sculture-oggetti, vuol dire creare rapporti; da questi rapporti nasce una nuova struttura. Ma per spiegare in cosa consiste un rapporto vorrei chiedere ancora aiuto a Braque; il quale, essendo stato ferito alla testa durante la prima guerra mondiale, venne ricoverato all’ospedale di Carency dove subì una trapanazione al cranio. Racconta a Jean Paulhan: “A Carency ero appena stato operato. Aspettavo il mio turno di visita. Entra l’infermiera: ‘È lei il trapanato? Si tolga le scarpe’. Capisce, ero stato ferito alla testa e volevano vedermi il piede”. Il rapporto è inatteso e incongruo, il suo tragitto resta nascosto; quando un artista lo inventa, lo intuisce, lo estrae dal caso, dall’inconscio, dai materiali che ha sul tavolo, produce una sorpresa, una meraviglia, una interrogazione; nel suo caso il tragitto invisibile non è neanche spiegabile razionalmente, scientificamente, si perde nel cielo incomprensibile della poesia. Ma ora l’artista non si limita ad un rapporto, ne mette insieme molti, li intreccia, li sovrappone, li contrappone.
Crea un rapporto di rapporti.
Spagnoli scopre, raccoglie e utilizza ogni sorta di materiali; non c’è limite, né teorico, né estetico, né di convenienza, a questa raccolta; il limite è dato solo dal gusto, dal piacere, dalla rispondenza psicologica. Ogni cosa può entrare in questo coacervo di materie, in questo magazzino raffinato, caotico e informe: carte da parati, carte d’argento, carte antiche, sottili reti metalliche, corde, fili colorati, lettere vecchie di inchiostri sbiaditi, modelli per ricamo, legni di ogni forma e consistenza, stampe ottocentesche, ritagli di giornali, vetri rari, soffiati, delicatissimi, perle, coralli multicolori, specchi; e molto altro ancora. Ogni oggetto tolto dal suo contesto d’uso e inserito in un contesto di espressione cambia forme, significato, aura; si trova in rapporti nuovi con altri oggetti che gli sono estranei, acquista nuovo senso, nuova vita, nuovo mistero.
È la curiosità di Spagnoli ad essere illimitata: si applica ad ogni cosa, ad ogni soggetto, ad ogni scienza, ad ogni arte, purché non sia comune, regolare, di moda. Armato di questa attenzione ossessiva, di questa spinta alla ricerca, di questa capacità perquisitiva, Spagnoli vede cose che gli altri non vedono; vede al di là delle superfici, delle copertine, degli involucri; e ci fa vedere cose che nella nostra normalità non vediamo; se apre un libro che ci sembra semplice o banale o inutile, ci fa scoprire le meraviglie nascoste che contiene; si avventura dentro i cunicoli, i corridoi, i ripostigli delle cose, della realtà, delle opere, dei libri; compie viaggi “attraverso lo specchio”. Ha il gusto del diverso, del fantastico, dell’ironico; ama le narrazioni impossibili, i mondi inesistenti, le utopie più folli, i libri illustrati, le favole di ogni tipo, il design irregolare, superato, incompreso, il cinema comico, surrealista, sofisticato, le macchine più inutili.
Dire che possiede originalità e che è trasgressivo mi sembra quanto di più banale si possa dire di lui. La trasgressione oggi è un atto abbastanza comune; se mai Spagnoli trasgredisce la trasgressione. Non è mai dove ci si aspetta di trovarlo. Abita in un mondo a parte, fantastico e reale, dove insegue, sogna e racconta vicende rare e opposte, dove interpreta e valorizza le minuzie più semplici della quotidianità e i grovigli più astrusi del pensiero, i ricordi della sua vita amorosa e le definizioni più ambigue del Tao. È esoterico ed essoterico senza contraddizioni. Ed usa come collanti per tenere insieme tante cose che si oppongono e non si conciliano, come strumenti unificatori che le costringe, le trascina e le supera, la poesia e l’ironia. L’interpretazione poetica innalza e complica le cose semplici, fa penetrare, semplificandone, entro le cose profonde e complesse. L’ironia è l’arma, la protezione, necessaria, il sale sparso dell’intelligenza e della timidezza.
Spagnoli ha il gusto, e la necessità, dell’eccedenza; inventa fiere che si dilatano, prolificano, emettono germogli e rami; stipa il labirinto del suo studio, a cui non si sa mai da che parte accedere e da che parte uscirne, con una selva sterminata di oggetti, di disegni, di quadri, di frammenti abbandonati dalle maree del tempo, di libri; per un’idea grafica, la possibilità di un accordo tra linee, colori e materiali diversi, riempie un album di cinquanta fogli. È affetto da incontinenza creativa.
Poiché il principio che regola il suo lavoro è, come abbiamo detto, quello del mutamento. Si può inventare una struttura, una immagine, e affidarla al processo della variazione; basta cambiare un materiale, un colore, un ordine, e cambiano il significato e la bellezza. Tutto cambia; niente permane. “La Via veramente Via non è una via costante”, dice la prima frase del Tao. Spagnoli è stato colpito dal fatto che ogni traduzione in ogni lingua del Jabberwocky di Lewis Carroll, il più grande di tutti i componimenti di nonsenso (letto da Alice nel secondo libro delle sue avventure), è completamente diversa da tutte le altre. E Masolino d’Amico, che ne ha tentato una in italiano e ne ha dato un commento molto illuminante, dice: “C’è una evidente somiglianza fra poesia del nonsenso di questo tipo e la pittura astratta”. Sappiamo ormai che le opere di Spagnoli non possono dirsi strettamente “pittura astratta”; lo sono anche, ma soprattutto non lo sono; il termine è per loro troppo limitativo; ma sappiamo anche che i letterati appaiono, nei riguardi dell’arte, sempre un po’ imprecisi. Credo che d’Amico si riferisse a un’arte come questa, di collage e di assemblage, dove l’astrazione resta come un fondamento acquisito, ma per essere subito alterata e assorbita in una molteplicità di significati, di figure, di rimandi, di fantasie e di commozioni.
Di fronte ai collage e agli assemblage di Stefano Spagnoli si rinnova intatta la nostra meraviglia; e ritornano le consuete domande: come può un frammento di carta verde, sia pure di un verde appena stinto, di una consistenza sottile, di delicate ripiegature, procurare tanta commozione estetica? Come possono procurarla quattro cartoncini bianchi e simmetrici ma con chiazze brune casualmente disposte dall’azione dell’umidità? Come può nascere poesia da nebulose tenui di colore, cordicelle e coralli? O da pezzi di assi grezze attraversate da una grossa corda? A queste domande non possiamo dare risposta. Kurt Schwitters, che è stato grande creatore di questa arte, fin dagli inizi degli anni venti, ha scritto nel 1921: “Mi sembra ora che anche lo sforzo verso l’espressione in un’opera d’arte sia nocivo all’arte. L’arte è un archiprincipio, sublime come la divinità, inesplicabile come la vita, indefinibile e senza scopo. L’opera d’arte è creata da una valutazione artistica dei suoi elementi. So solo come la faccio; conosco solo il materiale da cui la traggo, non so a che fine”.
E a giustificazione del nostro non potere dare risposta, non voler spiegare ciò che non si può spiegare, affidiamoci ad altre esortazioni di Schwitters: “Prima virtù di ogni critico sia la sua modestia. Con la stessa modestia dell’artista davanti alla propria opera, il critico d’arte si comporta nei confronti della propria critica. Che aspetti modestamente e lasci che prenda effetto l’opera d’arte su di lui”. L’arte di questi collage e assemblage, che sembra minore, nata a margine, che è fatta con materiali poveri, raccogliticci, impolverati, di scarto, a funzione completamente diversa, che sembra nascere dalla casualità, dall’unione futile, improvvisata e caotica di oggetti privi di valore, pescati da una mano abile nel cumulo delle cose accatastate dalla quotidiana mania di raccogliere e conservare, è il frutto invece di una scelta meditata, di una intenzione precisa, di un lavoro costruttivo e compositivo molto rigoroso.
Attraverso questa arte mai affidata al caso, parla l’intuizione profonda dell’artista, che vi affina e affatica il suo spirito; e Schwitters, che usava ferri arrugginiti, biglietti del tram, molle, pezzi di stoffa, rocchetti e birilli di legno, nel secondo dei testi appena citati, prosegue le esortazioni al critico scrivendo: “L’artista, attraverso il quale la divinità parla dalle sue opere, sia il suo signore… E modestamente il critico si metta di fronte all’opera d’arte, perché qui si trova di fronte all’eternità”. Anche l’altro grande maestro di questa arte, Joseph Cornell, poeta massimo, sosteneva di vivere con un giorno di anticipo sul tempo convenzionale, e scriveva: “È questo un giorno di eternità nel mondo ove sono giunto per esservi avviluppato”. Per dire, entrambi, come nel dettaglio, nel frammento, nell’inutile, nel rifiuto, nelle cose abbandonate, quando l’artista, sottraendole al processo della corruzione, vi soffi il suo spirito, possa apparire il senso dell’eterno. Questi artisti sembrano artigiani che lavorano in un laboratorio, o in una officina, con tutti gli strumenti meccanici possibili, fuorché, o assai raramente, con quelli propri dell’arte; ma sono i più ispirati, i più aperti alle alchimie dell’invenzione artistica. Spagnoli lavora con ogni sorta di materiale, ininterrottamente, e crea opere fantastiche, strane, diverse ed ambigue; trasforma le stanze dove queste opere sono deposte, e si accumulano, una vicina all’altra, e una all’altra opposta, in vere Wunderkammern, camere delle meraviglie. Credo che la mostra sia anch’essa una Wunderkammer; anzi la più affascinante e bella. In questo lavoro mai l’abbandonano il senso della futilità, della mancanza di scopo, e la spinta del rigore, della regola, del necessario. Ha il gusto della composizione, per cui i vari oggetti, frammenti, carte, segni, si uniscono, si combinano, secondo una struttura armonica e intoccabile; ha il gusto dei toni che si accostano, si contrappongono, sfumano e variano; il gusto degli accordi, ora conseguiti, ora difficili, ora nascosti, ora rari; il gusto della narrazione che gli permette di unificare nella stessa opera sequenze di immagini per tessere la trama di ricordi, fantasie, sogni, desideri, o di svolgere su una grande superficie le note interminabili di un viaggio lungo l’opera di Paul Klee, o di raccontare la vita di una donna, assidua ricamatrice, attraverso la trama delle zone vuote nei suoi modelli di carta; ha il gusto dell’ironia, del gioco, del gratuito che si fa assoluto. Le sue scatole, le sue sculture sotto vetro, sono ricche di significati, di allusioni, di memorie e di giudizi; sono invenzioni a volte piacevoli, a volte sconcertanti, a volte drammatiche; in esse l’estrosità, la raffinatezza, il particolare prezioso si combinano con la forza, la violenza, la fantasia eccitata, l’irrisione. L’avventura di Spagnoli con Klee è una vicenda che attraversa, ora palese ora sotterranea, buona parte della sua opera: a cominciare da, o finire con, quella fantasia beffarda e serissima che è la Beatificazione di P.K.; continuando con Angelus Novus, che ammicca all’opera di Klee e all’opera di Walter Benjamin, ma con quella gravezza del legno e la doratura delle ali poco ha a che fare con i loro simboli, con il destino e con il volo. Mentre i grandi quadri, detti Minima Summa di P.K., col compiere una visitazione diacronica di segni, figure e immagini sparse in tutta l’opera del maestro, con l’affastellarli, contenderli, alterarli e rinnovarli sulle superfici pittoriche fitte e soffocanti, prive di vuoti e di spazi, mostrano una invenzione febbrile, drammatica, a volte anche notturna e tragica, e diventano poesie eccedenti e senza fine; a volte su una di quelle grandi tavole, o tele, avviene, senza che ce ne accorgiamo, il passaggio da Klee a Kafka. Se a questi nomi accostiamo quello, fatto all’inizio, di Borges, e poi quelli di Lewis Carroll e di Julien Offroy de La Mettrie (al cui illuminismo immaginifico sono ispirate alcune opere), ci accorgiamo con quali lumi e in che sterminato labirinto ci introduce Spagnoli, senza concederci nessun filo d’Arianna. Tanto più che con tutti i nostri riferimenti abbiamo percorso solo una parte della sua opera; chi vedrà la mostra potrà percorrerne molte altre.
Un accenno infine ai titoli. Come l’amato P.K., Spagnoli è un fantasioso e preciso inventore di titoli; rifugge, con tutte le ragioni, dalla malinconica e irritante monotonia dei titoli in uso nei pittori moderni, “composizione”, “senza titolo” e simili; riversa invece nei titoli il suo vario sapere, le sue irregolari conoscenze, le sue frequentazioni inconfessabili, dal Tao ai Viaggi di Gulliver, dai termini scientifici a quelli filosofici. I titoli hanno sempre una funzione, allargano sempre la conoscenza dell’opera, ma a volte rendendola più chiara, a volte più oscura; sono diretti, complementari, allusivi, metaforici, ironici.